Lord Mahavira - Jainismo

JAINISMO
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Lord Mahavira

Mahavira, il ventiquattresimo Tirthankara
                             
Il Principe senza paura

Un giorno, il Principe Vardhamäna, insieme ai suoi giovani amici, stava giocando vicino a un grande albero secolare.
Di colpo, essi videro un serpente nero, con occhi gialli, che soffiava minaccioso.
Gli amici del Principe si spaventarono: alcuni scapparono via, altri si arrampicarono sull’albero.
Soltanto Vardhamäna rimase calmo.
Andò vicino al serpente.
Dolcemente lo accarezzò, lo prese e lo spostò senza fargli del male.
Tutti gli amici si rassicurarono.
Vardhamäna disse loro: “Dovete avvicinare le creature con amicizia, non con paura!”
Vardhamäna e il mostro

Un pomeriggio, il Principe Vardhamäna stava giocando con i suoi amici a “tocca e cavalca”.
Chi  riusciva a toccare un altro senza farsi toccare avrebbe vinto e il  perdente avrebbe dovuto trasportarlo sulla propria schiena.
Un nuovo bambino si unì al gioco.
Questo bambino era facile da battere: perse sempre e si fece cavalcare da tutti.
Anche il Principe Vardhamäna batté il nuovo arrivato.
Pochi minuti dopo, mentre Vardhamäna era sulla sua schiena, il bambino iniziò a crescere e diventare sempre più grande e alto.
All’inizio, gli amici di Vardhamäna guardavano l’evento con curiosità.
Subito  dopo, la faccia del bambino iniziò a trasformarsi in un orribile ghigno  e i bambini si spaventarono e corsero via in preda al panico.
Alcuni bambini scapparono sugli alberi mentre altri corsero a casa dai genitori.
Vardhamäna rimase invece calmo e coraggioso.
Il mostro continuò a crescere tantissimo; a un certo punto, Vardhamäna gli diede un pugno sulla testa.
Il mostro cercò di disarcionare Vardhamäna dalla propria schiena per evitare un altro pugno, ma non vi riuscì.
Alla fine, il mostro si arrese e chiese perdono.
Vardhamäna lo perdonò prontamente.
Il mostro lo chiamò Mahavira, che significa Grande Eroe.
Da quel momento, il Principe Vardhamäna venne chiamato Mahavira.
Toglimi dalla povertà!

Il Principe Mahavira diede via tutti i suoi possedimenti e divenne un asceta vestito solo di un telo leggero.
Il cuore di Mahavira traboccava di equanimità e di compassione.
Sul suo volto,  un sorriso spontaneo di beatitudine.
Camminava con passo sicuro e deciso nelle giungle più pericolose senza esitare.
Un pomeriggio sentì un debole richiamo provenire da dietro di lui.
Un debole e malato Bramino, muovendosi adagio con l’aiuto di un bastone, lo raggiunse e crollò ai suoi piedi.
Lacrime scendevano dai suoi occhi; sul suo viso, un’espressione di sofferenza.
Con umiltà chiese: “Principe! Per favore aiutami, dammi qualcosa, toglimi dalla povertà!”
Mahavira riconobbe il vecchio e si ricordò di Som Sharma della città di Brahmankund.  
Molto tempo prima apparteneva alla corte del Re Siddhartha.
Il Re lo manteneva con tutto ciò che desiderava.
Era felice, allora...
Ma, dopo la morte del Re, non l’aveva più visto.
Som Sharma gli disse: “Principe, ho vagato da uno Stato all’altro dopo la morte del Re Siddhartha, il mio protettore.  Dovunque andavo, la cattiva sorte mi seguiva. Dopo due anni di vagabondaggio sono tornato a casa stamattina; i miei parenti mi hanno informato che tu avevi già dato via tutte le tue ricchezze e reso ricca molta gente. Principe! Per favore, sollevami dalla povertà con le tue mani gentili e generose!”
Mahavira era pieno di compassione ma ormai non aveva più niente da offrire.
Usò quindi il suo telo: lo divise in due e ne diede una parte al Bramino.
Il Bramino era pieno di gioia.
Prese la veste e la portò a un sarto per chiederne il valore.
Il sarto esclamò: “Bramino, come hai avuto questa veste divina? È solo una parte di un intero. Se mi puoi portare anche l’altra metà sarò in grado di rimetterla insieme e potrai rivenderla per centomila monete d’oro.”
Il Bramino corse dietro a Mahavira ma non ebbe il coraggio di mostrarsi così avido.
Così lo seguì sempre e dovunque andasse.
Dopo circa un anno l’altro pezzo di stoffa scivolò via dalle spalle di Mahavira.
Som Sharma lo prese, lo portò dal sarto e vendette il divino telo al Re Nandivardhan per centomila monete d’oro.
Mahavira e il pastore

Un  giorno il Signore Mahavira, dopo aver vagato da un posto all’altro, si  fermò sotto un grosso albero, subito fuori da un villaggio, a meditare.
Mentre meditava, arrivò un pastore con le sue mucche.
Stava cercando qualcuno che badasse agli animali per poter svolgere alcune commissioni.
Chiese a Mahavira se poteva accudire gli animali per qualche ora.
Il  Signore Mahavira era immerso in una meditazione così profonda che non  lo udì e non si accorse di niente ma il pastore se ne andò, convinto che  Mahavira avesse accolto la sua richiesta di badare alle mucche.
Nel frattempo, le mucche iniziarono a pascolare nei dintorni cercando l’erba preferita.
Qualche ora dopo, il pastore tornò e tutte le mucche erano disperse.
Chiese  a Mahavira: “Dove sono finite le mie mucche? Che cosa ne hai fatto?”.  Il Signore Mahavira era ancora immerso nella meditazione e non rispose.
Il pastore iniziò a cercare le sue mucche.
Cercò e cercò ma non le trovò.
Mentre era in giro a cercare, le mucche ritornarono nel posto in cui Mahavira stava meditando.
Quando  il pastore tornò, sorprendentemente, tutte le mucche erano vicine a  Mahavira che, distaccato da tutto, continuava a meditare.
Il pastore si arrabbiò molto perché credette che Mahavira le avesse nascoste per appropriarsene.
Prese la frusta e stava per iniziare a frustarlo quando un Angelo scese dal cielo e gli bloccò il braccio.
“Non vedi che il Signore Mahavira è immerso nella meditazione?” chiese l’angelo.
“Ma mi ha ingannato!” disse il pastore.
L’Angelo  rispose: “Lui è un illuminato. Non è legato alle tue mucche né a  nient’altro che faccia parte del mondo. È immerso nella meditazione e  non ti può sentire. Non ha fatto niente. Avresti accumulato karma  negativo nel fargli del male.”
Il pastore si rese finalmente conto di aver commesso un errore. Si scusò con Mahavira e se ne andò in silenzio.
Anche l’Angelo tornò nella regione celeste, felice per aver evitato sofferenze a Mahavira.
Il tempio degli scheletri

Continuando nel suo vagabondare, Mahavira arrivò un giorno in un villaggio vicino al fiume Vegvati.
Subito fuori dal villaggio, su una piccola collina, c’era un tempio circondato da tantissime ossa e scheletri.
Considerandolo un posto particolare ma appropriato per la meditazione, chiese il permesso agli abitanti del villaggio di utilizzarlo.
Molte persone andarono a rendere omaggio all’asceta Mahavira e lo informarono che, una volta, il povero villaggio era una grande e prosperosa città.
Tutto era cambiato da quando il demone Shulpani Yaksha, che danzava e rideva sopra cumuli d’ossa, aveva trasformato la città di Vardhaman  in Asthikgram, il villaggio delle ossa.
Questi si era impadronito del tempio e non permetteva a nessuno di uscirne vivo.
Tutti cercarono di dissuadere Mahavira dall’andare al tempio.
Ma Mahavira era determinato a togliere le radici della paura e gettare i semi del coraggio.
Insistette e, alla sera, era completamente immerso nella meditazione proprio fuori dal tempio.
Quando scesero le tenebre, l’aria si fece piena di suoni da brivido.
Shulpani, il demone con la lancia, apparve nel cortile ed emise suoni di tromba paurosi.
Era molto sorpreso di vedere un essere umano in meditazione senza paura.
Produsse tuoni che fecero vibrare le pareti del tempio ma l’asceta non si mosse.
Fece apparire un elefante pazzo che minacciò Mahavira con zanne terrificanti, poi un fantasma orribile che cercò di terrorizzarlo, e ancora un serpente nero che lo attaccò con i suoi denti e il suo respiro velenoso.
Alla fine, gli creò dolore in punti delicati del corpo (occhi, orecchie, naso, testa, denti, unghie e schiena).
Ma Mahavira aveva una capacità illimitata di sopportare il dolore.
Anche quelle estreme agonie non riuscirono a togliere serenità al Signore Mahavira.
Esaurite tutte le sue demoniache energie, Shulpani iniziò a preoccuparsi.
Pensò di avere a che fare con una potenza divina troppo forte, che, volendo, avrebbe anche potuto distruggerlo.
Immediatamente, una luce divina illuminò la sua anima.
Pian piano la sua rabbia si dissolse, la sua paura scemò e un senso di beatitudine lo riempì.
Con profonda umiltà chiese perdono a Mahavira.
Mahavira aprì gli occhi e, alzando una mano, disse: “Shulpani! La rabbia crea rabbia e l’amore crea amore. Se non causi paura, sarai libero da tutte le paure. Distruggi dunque il veleno della rabbia che ti corrode!”
Il cobra Chandkaushik

Questa è una avventura capitata al ventiquattresimo Tirthankara Mahavira quando era un monaco.
Egli era solito digiunare, meditare e fare penitenze.
Camminava a piedi nudi da un posto all’altro, di villaggio in villaggio.
Un  giorno decise di andare al villaggio di Vachala.  Usando la strada più  diretta era necessario passare attraverso una foresta dove viveva un  famoso serpente cobra velenoso chiamato Chandkaushik.
Si diceva che Chandkaushik potesse uccidere una persona anche soltanto fissandola con il suo sguardo cattivo e feroce.
Tutte le persone dei villaggi vicino alla foresta vivevano nel terrore assoluto.
Quando  gli abitanti del villaggio seppero dell’intenzione di Mahavira di  attraversare la foresta, lo pregarono di prendere un’altra strada .
Ma Mahavira non aveva paure e praticava la massima Nonviolenza.
Non odiava nessuno e considerava la paura e l’odio come violenza verso se stessi.
Era in pace con se stesso e con tutte le altre creature viventi.
C’era sempre un’espressione di serenità e di compassione sul suo volto.
Convinse tutti a lasciarlo andare e si incamminò per il pericoloso sentiero.
Dopo un po’ notò che la bella terra verde sfumava in un deserto. Alberi e piante erano morte.
Seppe così di essere arrivato nella terra di Chandkaushik.
Mahavira si fermò per meditare. Pace, tranquillità e compassione per tutti gli esseri vivente fluirono nel suo cuore.
Chandkaushik sentì che qualcuno si era introdotto nel suo territorio e uscì dalla sua tana.
Non  senza sorpresa, vide un uomo tranquillamente seduto e divenne  immediatamente furioso pensando: “Come osa costui venire nella mia  terra!”.
Chandkaushik iniziò a soffiare a Mahavira per spaventarlo.
Non riusciva a comprendere la tranquillità di Mahavira.  
Divenne ancora più furioso, si avvicinò ancora a Mahavira, pronto a morderlo.
Non vide intenzioni di fuga da parte di quest’uomo che non sembrava per niente spaventato.
Tutto ciò rese Chandkaushik ancora più cattivo, iniziò a mordere e, per tre volte, iniettò il veleno a Mahavira.
Il veleno non infettò Mahavira né disturbò la sua meditazione.
Chandkaushik non era preparato a questo.
Divenne ancora più furioso e morse il piede di Mahavira.
Quando  guardò ancora l’uomo, fu sconvolto dal fatto che, non solo non gli era  successo niente, ma, invece di sangue, usciva latte dalle ferite.
Mahavira aprì gli occhi. Era tranquillo e totalmente privo di paura o rabbia.
Guardò Chandkaushik negli occhi e gli disse: “Svegliati! Svegliati Chandkaushik! Pensa a che cosa stai facendo!”
C’erano amore e compassione nelle sue parole.
Chandkaushik si calmò immediatamente e provò la sensazione di aver già conosciuto quell’uomo.
Immediatamente ricordò le vite precedenti.
Chandakaushik realizzò la verità, comprese dove lo avevano portato la rabbia e l’ego delle sue vite precedenti.
Pacificamente appoggiò la testa al suolo.
Mahavira riprese il suo cammino.
Chandkaushik, ormai in pace, entrò nella tana solo con la testa, lasciando fuori il suo corpo.
Dopo un po’, quando le persone seppero che Chandkaushik non era più pericoloso, mosse dalla curiosità, andarono a vederlo.
Lo trovarono disteso in pace.
Alcuni iniziarono a idolatrarlo e gli offrirono cibo.
Altri invece, arrabbiati per aver perso a causa sua persone amate, gli tirarono pietre e lo colpirono con bastoni.
Il sangue del serpente attirò molte formiche che iniziarono a cibarsi delle carni di Chandkaushik.
Chandkaushik, bastonato e ferito, rimase calmo, in pace, senza più rabbia.
Questo autocontrollo dei propri istinti distrusse il karma negativo accumulato in passato.
E così, alla fine della sua vita, il cobra Chandkaushik fu liberato dalle rinascite.
L’importanza del contributo di Mahavira nella Dottrina Jainista

Il  periodo di dodici anni di pratiche spirituali del Signore Mahavira  gettò le basi del cammino per il raggiungimento dell’onniscienza e della  condizione di Illuminato.
Dopo la Sua piena Illuminazione, Egli  dedicò i rimanenti trent’anni della Sua vita al benessere di tutte le  creature viventi. In questo periodo Egli rivoluzionò il pensiero umano,  sconvolse molte false dottrine e attaccò tanti dogmi tradizionali. Le  Sue azioni e i principali contributi nel campo del benessere umano e  animale si possono così sintetizzare:

1.   Mahavira si oppose ai sacrifici animali e umani, alle superstizioni che  popolavano l’India e ai rituali creati  per ottenere benefici per la  vita successiva. Come alternativa, diffuse il cammino della Nonviolenza  (Ahimsa) basato sull’impegno e sugli sforzi personali del singolo  individuo, senza la possibilità di delegare a rituali o a intermediari.

2.  Abolì la tradizione ormai consolidata di non  permettere alle donne in generale e a uomini e donne delle caste più  basse il diritto allo studio e alla partecipazione ai rituali religiosi.  Fu così coraggioso e saggio da iniziare allo studio religioso e  filosofico persone di tutti i ceti sociali. Fornì uguali diritti allo  studio per tutti. Con successo eliminò il sistema delle caste in tutte  le aree in cui il Suo pensiero si diffuse.

3. Sotto la Sua influenza, lo status normale basato sulle caste, il  benessere, la ricchezza e la potenza fu sostituito da un altro basato  su valori etici e morali.

4.  Parlò  alle persone con la lingua comune e non utilizzò il Sanscrito, il  linguaggio degli istruiti e delle classi più elevate.

5.  Per gli asceti della Sua scuola, Mahavira promosse  l’idea di un cammino di distacco dai piaceri, attraverso penitenze,  austerità e meditazione. Ancora oggi gli ordini monastici ed ascetici si  fondano sul distacco, l’equanimità, la consapevolezza, la Nonviolenza e  la disciplina.

6.  I Suoi seguaci  provenivano da tutte le classi sociali ed erano sia uomini che donne,  con larga presenza di queste ultime; ancora oggi, l’ordine monastico  jainista è formato prevalentemente da monache, le quali sono  generalmente insegnanti.

7.  Intorno al  1133 il regno di Kumarpal, Re del Gujarat, Stato dell’India  occidentale, fu largamente influenzato dal grande maestro Jain Acharya  Hemchandra, seguace di Mahavira. Il Re era così ispirato dai Suoi  insegnamenti sull’Ahimsa e la Compassione che aveva introdotto  nell’intero Stato il divieto di uccidere gli animali per cibo, per  sport, per divertimento.

8.  In  sintesi, gli originali contributi di Mahavira furono: la dottrina  dell’Ahimsa (Nonviolenza) e il codice della relatività della conoscenza e  della molteplicità dei  punti di vista (Anekantavada) che divennero le  basi della moderna Dottrina spirituale jainista.
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